Compasso d'oro alla Carriera

Pino Tovaglia

Dopo aver lavorato a cortometraggi sperimentali alla Pagot Film, dal 1947 al 1950 lavorò presso lo studio Ciuti e per Finmeccanica. Dal 1956 al 1965 fu socio dello studio CNPT con Confalonieri, Negri, Provinciali. Autore di campagne pubblicitarie (Alfa Romeo, FAI, Alitalia, Bassetti, Ottagono, Splugen) e del progetto grafico della rivista Stile Industria, lavorò nel campo dell’animazione con Bruno Bozzetto. Dal 1967 al 1970 art director di Pirelli, fu nel 1955 tra i fondatori dell’AIAP Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva.

 

MOTIVAZIONE
La ricerca visiva ed espressiva di Pino Tovaglia, prematuramente scomparso a 54 anni nel 1977, è stata tra quelle dominanti – eppure discretamente e quasi timidamente, come il suo autore – nel paesaggio culturale degli anni dello sviluppo nel dopoguerra; lasciando segni indelebili nella cultura grafica, non solo italiana.

Superando le distinzioni tra generi formali in base alle sole differenze tecniche – come nell’ormai famosa serie della Finmeccanica negli anni di Leonardo Sinisgalli in cui, per la prima volta, la fotografia al tratto e quella “bruciata” si integrano nel contesto grafico – Pino Tovaglia ha grandemente contribuito, nella pratica, all’affermarsi della tesi avversa a quei “generi letterari” che in quegli anni ostacolavano l’autenticità espressiva.
Autore di memorabili marchi – da quelli di Nebiolo ed “Ottagono” a quello della nuova Alfa Romeo – co-autore del marchio della Regione Lombardia, Pino Tovaglia sviluppò famose campagne pubblicitarie come quelle per la Pirelli degli anni di Arturo Castellani, per la Splugen degli anni di Aldo Bassetti, e per Total e Lanerossi; attività che gli valsero la Palma d’Oro della pubblicità. Fondatore e presidente dell’Art Director’s Club di Milano ed egli stesso art director di riviste come “Pirelli” e “RAI”, consulente de la Rinascente negli anni di Giovanni Bordoli, e di Italia Nostra, Mondadori, Flos, Einaudi, insegnò alla Scuola Superiore d’Arte del Castello, all’Umanitaria e a Urbino, avviando poi il corso di immagine coordinata presso la Scuola Politecnica di Design di Nino Di Salvatore già a Milano, contribuendo a formare un’intera generazione di grafici dal nuovo orientamento globalizzante.
Assertore del lavoro di équipe, ma autodidatta e ricercatore d’istinto e di ragionamento; libero e indipendente, logico e sottile, Pino Tovaglia ha saputo tradurre i grandi temi nell’esperienza del “quotidiano”; in un intento dal quale tuttora abbiamo, tutti, molto da apprendere.
È in primo luogo per questo che il Compasso d’Oro intende richiamarne la memoria.

Albe Steiner

Pioniere della grafica in Italia, nel 1939 aprì con la moglie Lica a uno studio a Milano realizzando nel 1945 per Einaudi la collana “Politecnico Biblioteca”. Dal 1946 al 1948 in Messico, ritornò a Milano dove dal 1950 al 1958 fu art director della Rinascente, per la quale disegnò il marchio del Compasso d’Oro. Socio fondatore dell’ADI, collaborò con istituzioni culturali e aziende, dedicandosi in particolare alla grafica editoriale per Feltrinelli (1955-1965) e Zanichelli. Insegnò fino al 1958 al Collegio Rinascita e dal 1959 alla Scuola del Libro della Società Umanitaria.

 

MOTIVAZIONE
Albe Steiner, nato nel 1913 e prematuramente scomparso nel 1974, ha caratterizzato fin dal 1933, un’intera stagione della grafica italiana, intrecciata – nella più radicale ed avanzata tradizione espressiva dei Rodcenko – con l’impegno politico e civile.
Uomo di vastissimi interessi culturali e sociali, convinto che “la libertà è cultura”, nell’immediato dopoguerra Albe Steiner impostava la mitica rivista “Il Politecnico” di Elio Vittorini, realizzava con Gabriele Mucchi la Mostra della Liberazione della Ricostruzione, collaborava con Hannes Meyer già direttore del Bauhaus, e lavorava intensamente nell’umanitaria di Milano, anche come direttore della Scuola del Libro da lui voluta.

Animatore del Centro Studi della Triennale, fondatore del Sindacato Artisti, del Centro di Studi Grafici, dell’AGI (Alliance Graphique Internationale), dell’ADI, dell’ANEDI e dell’ICTA – oltre a curare innumerevoli produzioni editoriali pubbliche private e di partito – pubblicava le storiche dispense didattiche ‘a distanza’ di storia e tecnica del manifesto per l’Accademia di Roma, curava il ‘libro scientifico sperimentale’ della Zanichelli e impostava collane e riviste per Feltrinelli. Il suo apporto a la Rinascente, specie nella fase dell’istituzione del Compasso d’Oro, diede un carattere inconfondibile all’immagine del premio; mentre le altre realizzazioni culturali e commerciali del grande magazzino sono ricordate anche per i suoi sempre illuminanti interventi, non solo strettamente grafici, che contribuirono segnatamente a distinguerlo, anche sulla scena internazionale.

Collaboratore di varie Biennali di Venezia, delle Coop, della RAI e di Pirelli, Olivetti, Bemberg, Linoleum, Heller, Bertelli, Geigy, Cedit, Necchi, Lark, Aurora, concepiva l’intera immagine della Pierrel che resta una pietra miliare nella storia della grafica e del packaging non solo farmaceutici. Entusiasta, infaticabile, coraggioso, Albe Steiner è stato uno dei grandi maestri di vita e di sapere, che hanno saputo accompagnare la professione e la politica con l’impegno didattico e con la generosa cura dei giovani. La sterminata biblio/emeroteca e la raccolta grafica che ha lasciato sono, specie oggi, un punto di riferimento prezioso per la documentazione degli anni ruggenti che lo hanno visto protagonista.

Non si può concludere questa motivazione per Albe, così pleonastica per chi conosce la storia del design, senza citare Lica, la compagna apparentemente fragile che lo ha sempre affiancato con grande intelligenza anche professionale, con ricambiato affetto e persino con caparbia nelle fasi difficili e dolorose. Lica Steiner, cui viene consegnato il Premio perché lei stessa lo abbia, tra le cose vissute con lui e mai perdute.

Giovanni Sacchi

Modellista meccanico, nel 1951, attratto dal disegno industriale, diventò da modellista per fonderia modellista di design per l’industria, collaborando con  Nizzoli, Albini, i fratelli Castiglioni, Sottsass, Zanuso, Giò Ponti, Munari per aziende come Olivetti (Lettera 22, 1950), Necchi (macchina da cucire Mirella, 1956), Brionvega (TV Doney, 1962), Siemens (telefono Grillo, 1965), Alessi (caffettiera Cupola, 1988). Al termine della sua attività aveva realizzato 8000 plastici e 25.000 modelli di design.

MOTIVAZIONE
Giovanni Sacchi rappresenta, da decenni, il modello dei prodotti disegnati da tutti i migliori. Il primo – cinquant’anni fa, esatti – quello di Marcello Nizzoli per Olivetti, la Lexicon. L’ultimo è ancora da fare.
I suoi modelli, fin dal primo, sono nati da un sodalizio di lavoro, di sensibilità e di pensiero: Sacchi è spesso la mano che pensa nel legno insieme con la testa degli altri; che rende vero il penser avec les mains di Denis de Rougemont diventando – senza mai tradire – l’interlocutore d’una ricerca. Persino quando realizzava i modelli funzionanti delle macchine di Leonardo e ne indovinava le soluzioni inespresse nei disegni: si può dire che per Sacchi il Codice Atlantico ha meno misteri che per i critici e gli studiosi.

Per il progettista, la sua sgorbia diventa una matita, e questa diventa, attraverso la sua mano, un ferro; poiché – capace di simulare nel legno i materiali definitivi – sa superare i limiti astratti del disegno; sa sempre diventare un collaboratore; e per di più, disponibile, dedicato, infaticabile. Senza scegliere intenzionalmente, Sacchi ha finito per scegliere di fatto, a causa della sua perizia, le punte del design italiano; mentre molte imprese hanno deciso di produrre proprio in base alla percezione e al giudizio indotti dal suo modello; che si pone dunque come interfaccia tra l’idea e il progettista, e tra questo e il committente. In questo senso, la responsabilità – e il merito – di molte conquiste si debbono anche a lui.

A questa sua carriera straordinaria e peculiare – che ha diffuso nelle raccolte e nelle collezioni, negli studi di progettazione e negli archivi d’impresa, un museo ideale di modelli finali, provvisori, transitori eppure testimoni irripetibili del processo che ha portato all’esito finale – non poteva mancare il Compasso d’Oro.

Nel 1998, a cinquant’anni dal primo successo; e a due terzi di secolo dal suo primo lavoro.

Gruppo Fontana Arte

Fontana Arte – fondata da Gio Ponti nel 1932 come divisione “artistica” di Luigi Fontana – è un’impresa che si sviluppò come centro di ricerca dei caratteri peculiari del vetro, con esiti che ne fecero una delle protagoniste del disegno italiano dell’anteguerra.
Il Compasso d’Oro alla carriera a Fontana Arte – insieme al ricordo dei progetti ormai classici di Ponti e di Pietro Chiesa – intende soprattutto indicare ad esempio il rigoroso intervento ormai ventennale che, guidato da Carlo Guglielmi con il suo cast di manager, ha saputo riscattare l’impresa e il suo nome da passati errori imprenditoriali e culturali attraverso un radicale mutamento di orientamenti, il ricupero della cultura all’impresa e una coraggiosa diversificazione tematica, peraltro in continua evoluzione.

E intende riconoscere come la predisposizione di un intelligente clima creativo abbia potuto adeguatamente coinvolgere progettisti che, non solo nei prodotti, ma nella grafica, negli allestimenti e in ogni gesto della comunicazione – in una parola, nell’immagine complessiva – hanno contribuito a riqualificare al massimo livello uno dei nomi storici della produzione e del prestigio italiani, e non solo nell’arredamento.

Fantoni

La Fantoni – cui è assegnato il Compasso d’Oro alla carriera – è un’impresa che sa tradurre l’attività di produzione di un materiale – il Medium Density – in una costante ricerca propositiva, metaprogettuale e progettuale, per la sua appropriata traduzione in prodotti finali; facendo evolvere la tradizione, tutta italiana, del “design primario”.
Sul fronte dell’evoluzione delle più diverse nature e strutture reologiche attribuite alle specifiche destinazioni delle varianti del materiale e delle sue finiture, Fantoni ha esplorato ed esplora non solo le più convenienti possibilità della loro applicazione, bensì quelle per la riduzione dell’impatto ambientale – dalla foresta, ai processi di produzione, all’uso finale dei materiali stessi.
I prodotti che, risultati dalla ricerca sui materiali, Fantoni presenta direttamente al mercato finale costituiscono, peraltro, anche proposte paradigmatiche in accordo con le più avanzate pratiche della “collaborazione competitiva”, in quanto esempi di possibilità anche altrove ed ulteriormente sviluppabili.
La stessa fabbrica di Osoppo – ideata e fatta crescere nel tempo dalla mano di Gino Valle – costituisce uno dei casi-principe di un intelligente, sensibile e qualificante inserimento nel paesaggio, al punto da dimostrare – in positivo – la nota tesi secondo cui il paesaggio è in primo luogo il risultato della presenza dell’uomo.
L’immagine dell’impresa – risultante dal coerente tratto espressivo di tutte le realizzazioni – diviene dunque un esempio di quel total design verso il quale si vanno orientando le imprese davvero eccellenti.